C’era una volta una mucca, una giovane e bella mucca bianca e nera che viveva in un paesino dell’appennino lunigianese, lungo quella Linea Gotica che divideva la parte occupata dai tedeschi da quella liberata. La mucca, Mukky era il nome che le avevano dato le compagne di stalla, ogni notte sentiva aerei chiamati “Pippo” ronzare sopra la sua stalla ed ogni volta sembrava che quello yankee di un aereo dovesse buttare giù chissà che bomba. Vi erano attimi in cui il vento, beffardo, simulava il sibilio della bomba, altre in cui l’esplosione detonava senza preavviso alcuno, con grande spavento di tutte. Mukky era giovane e la guerra le passava a fianco senza distrarla dai pensieri di gioventù, per lei altro non era che una delle tante bizzarre e pericolose follie degli uomini, quelle azioni che loro non potevano spiegarsi in alcun modo. Ma l’indifferenza bovina fece presto spazio ad un sentimento nuovo, un misto di orgoglio e desderio di novità. A scatenarne l’istinto ribelle fu un fatto increscioso: un giorno giunsero alla stalla soldati della Wehrmacht, alti, biondi, impettiti e con un linguaggio crudo e violento, così lontano dalla dolcezza del muggito. Picchiarono lo stalliere (e fin qui niente di male, pensò Mukky) e presero con se molte mucche, tra le quali due cugine ed una zia della nostra. Fu allora che Mukky decise che tutto ciò doveva finire, era inammissibile. Saltò su un carretto e aizzò le altre mucche con muggiti di fuoco e disse che non era possibile rimanere zoccoli negli zoccoli e guardare inermi le proprie compagne deportate e maltrattate da quattro pistola vestiti di grigio, bisognava reagire e riprendersi il proprio onore bovino. Le compagne di stalla in un primo tempo ascoltarono attonite, poi il sangue si scaldò nelle vene di pezzate e brunalpine, frisone e quant’altre, iniziarono a battere gli zoccoli e in un tripudio di muuu si gettarono fuori dalla stalla, ripresero i malfattori teutonici e, legatili sui gioghi, li buttarono infime nel letame, il posto da cui erano venuti e sarebbero dovuti ritornare. Dopo quella vittoria le mucche presero coscienza della loro situazione, dei loro diritti e doveri di abitanti del pascolo e della stalla. Mukky si atteggiò a capo popolo, si legò un bel fazzoletto rosso al posto del giogo (che fu bandito) e divenne il terrore non solo dei tedeschi, ma pure dello stalliere, che, nostalgico della ventennale apatia di quelle contrade, non vedeva di buon occhio le rivendicazioni vaccine. E fu così che l’infimo traditore, nella speranza di riaccomodare la situazione, si mise d’accordo con l’amico crucco, lo aiutò ad entrare in una notte buia nei meandri della stalla e fece così in modo che Mukky fosse catturata e deportata il mattino seguente. Grande fu lo sconcerto delle altre mucche quando la videro portare via incatenata il mattino seguente. Nei giorni che seguirono la tristezza pervase la stalla, da ogni dove giungevano notizie terribili di esecuzioni e banchetti a base di bovino. Poi la guerra finì e, per le mucche ma non solo, tutto tornò come prima. Le speranze di cambiamento che erano aleggiate con il muggito di Mukky erano rimaste lettera morta, perfino quel fetente d’un fascista dello stalliere era rimasto al suo posto. Una mattina le mucche furono svegliate dalle risa dei bambini e si affacciarono per capire l’origine di tanta ilarità. Con grande stupore di tutte videro lo stalliere immerso nel letamaio fino al collo, legato ad un giogo sopra cui era fissato un cartello con la scritta “Traditore”. Se vi inoltrate per quelle contrade, alcune mucche oramai molto vecchie vi racconteranno che quel giorno ad alcune di loro parve di vedere sulla cima del monte antistante la sagoma di una mucca con il fazzoletto rosso al collo. Forse sono solo suggestioni di alcune, ma tutte, non una esclusa, vi diranno che da allora, nella notte tra il 24 e il 25, se vi affacciate in quei borghi ormai lontani dalla civiltà, udirete il muggito di una mucca ribelle che, sebbene per poco tempo, credette che la stalla poteva essere cambiata.
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