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Posts Tagged ‘naufragio’

giona

Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sono passati sopra di me.
Io dicevo: Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio.
Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l’abisso mi ha avvolto,
l’alga si è avvinta al mio capo.
Sono sceso alle radici dei monti,
la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro a me per sempre.
Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore mio Dio.
Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te,
fino alla tua santa dimora.
Quelli che onorano vane nullità
abbandonano il loro amore.
Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore».
E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto.

E’ un passo della Bibbia, Libro di Giona. Giona rifiuta di andare a predicare a Ninive, come richiesto da Dio, preferendo recarsi a Tarsis. La collera di Dio lo scaglia in mare. Qui Giona si sente ormai perduto, ma un grande pesce, forse una balena, lo inghiotte e lo mantiene nel suo ventre per tre giorni e tre notti, poi lo rigetta sulla terra ferma.

Nel mare mediterraneo le balene sono in via d’estinzione. Nessun cetaceo accorrerà più in difesa dell’uomo, perché l’uomo ha dimenticato cosa sia il mare. Se pensiamo al mare la maggior parte di noi visualizzerà una spiaggia, alcuni una barca, altri ancora si avvicineranno maggiormente alla realtà immaginando le onde. E pensare che basterebbe, a volte, ripescare l’etimo di un termine per riappropriarsi del significato primario di esso. Per quanto riguarda la parola “mare” esistono due differenti teorie: potrebbe derivare dalla radice Mar-, che significa morire e perciò cosa sterile, distesa deserta e improduttiva, oppure dalla radice Màr-, scintillare, splendere, da cui deriva pure la parola marmo. Quale delle due radici abbia veramente dato i natali al termine “Mare”, non ha importanza. O meglio, sarebbe giusto considerarle entrambe corrette.

Il mare mediterraneo risplende da millenni. Il suo bagliore ha attirato imbarcazioni egizie, fenicie, greche, puniche, romane, arabe e tante altre ancora. Tra quelle onde è passata la storia, una storia di migrazioni, di popolazioni spinte da guerre e cambiamenti climatici a cercare non un futuro migliore, ma un futuro. Non è una storia di illusi, il canto delle sirene di Ulisse è favola per chi ha interesse a crederla. E’ una storia, invece, di disperazione, di strade a senso unico.

Che fine ha fatto la balena di Giona? Se ne andò quando iniziammo a fingere di non capire e non ricordare, quando ci limitammo a parlare di quanto accadeva nel mare, evitando scrupolosamente di cercare le cause sulla terra. Da quel mare che i romani chiamavano “nostro” è arrivata la vita e la morte, le invasioni saracene, ma anche la cultura cristiana e greca, i saccheggi vichinghi, ma anche quei commerci che resero le nostre città costiere quello splendore che oggi ammiriamo.

Non è facile capire il mare, semplice è invece voltargli le spalle, considerarlo un problema, un passaggio da chiudere. Il mare però non dimentica, recapita sempre il conto e questo è assai più salato delle sue acque.

Torna tra di noi, balena, abbiamo bisogno di te.

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Fui svegliato da un tremendo boato, uno schianto immane proveniente dall’esterno, probabilmente dal canale sottostante. Li per lì pensai ad un’alluvione, ma non pioveva da giorni, allora credetti in un terremoto, ma la terra sotto di me non si era mossa. Era dunque l’apocalisse? Mio Dio no, non mi sentivo pronto, non ero mai stato un buon cristiano e ultimamente mi ero ulteriormente allontanato dalla fede, perso nei bagordi delle osterie e nei balli in maschera di questa lussuriosa città che da poco mi ospitava. Intorpidito dal sonno, sentivo il cuore martellare in gola. Volevo pregare e tentare una tardiva redenzione, ma le parole mi tremavano nelle labbra e stentavano ad uscire. Con calma tentai di riprendere il controllo dei miei sensi, rallentare il respiro, convincermi che non era possibile e che probabilmente un’incubo si era impossessato della ragione. Ma proprio quando la mia mente iniziava a raffreddarsi, un altro boato, simile ad un poderoso nitrito, invase la stanza, seguito dal violento scroscio di  un getto d’acqua.  Sobbalzai nel letto e poi mi distesi, atterrito, madido di freddo sudore, la bocca spalancata per cercare ossigeno, arieggiare il mio cuore duramente provato. Dovevo capire cos’era, trovare la forza di dirigermi alla finestra e spalancare le persiane. Non avevo il coraggio, ma dovevo farlo. Per convincermi mi dissi che in fondo non sarebbe cambiato nulla, se fossi dovuto scomparire, meglio saperne il motivo. Mi alzai, tremavo, le gambe avevano perso sensibilità, le mani tremavano imperterrite, come se avessero impugnato per ore un oggetto vibrante. Raggiunsi la finestra, pensai ancora un volta a quello che stavo facendo. Poi trattenni il respiro e con gli occhi semichiusi iniziai ad aprire la finestra. Sentii che fuori c’era qualcosa, qualcosa di enorme e terribile che si muoveva scorrazzando acqua a destra ed a manca con l’immensa mole. Ora solo le persiane mi separavano dal destino. Strinsi le labbra tra i denti, caricai le braccia come per colpire con un pugno e con decisione spinsi le persiane verso l’esterno, rimanendo con le braccia profeticamente spalancate, abbracciando Canal Grande e Venezia tutta. Lo sguardo era rivolto al cielo mattutino di Venezia. Fu con la calma che contraddistingue i rassegnati che abbassai lo sguardo. Vidi e non credetti ai miei occhi, che strabuzzai nel tentativo di cambiare la strabiliante visioneverso qualcosa di più familiare, ma la realtà non si poteva cambiare: sotto i miei occhi, impacciato, pachidermico, si godeva il primo sole mattutino un grigio capogoglio. No, niente apocalisse dunque, per redimermi dai peccati il buon Dio mi concedeva ancora tempo. Mi guardai attorno, nessuno aveva avuto una reazione simile alla mia. Guardavano la balena come si guarda qualcosa di speciale, di meritevole di attenzione, ma non nuova. Non era dunque una novità per i veneziani che un grosso capodoglio passasse per Canal Grande. Strana città Venezia, strani anni questi cinquanta del XVIII secolo.

Tutti parlano della Concordia, l’ho voluto fare anche io, ma a modo mio, naturalmente. Racconto assurdo? Forse nel settecento si. Ma oggi, i moderni Moby Dick (tra l’altro il nome di una compagnia marittima) passano davvero nel Canal Grande, incuranti dei danni che possono arrecare a quel fragile gioiello che è Venezia. L’assurdo, quando ripetuto, diventa normalità. All’inizio fa impressione, poi l’occhio si abitua e diventa complice. Venezia, Isola del Giglio, ma non solo: ricordate quest’estate quanti incidenti sulle barche? Arroganza, menefreghismo, culto della furbizia e nessun rispetto per il domani. Little Italy, insomma.

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