Il piccione sul davanzale era, ancor prima che infreddolito, un tantino incredulo. Giocherellava con una foglia, gonfiava il collo, tubava, ma nessuno in quella classe, seppur composta da giovani reclute, lo degnava di uno sguardo. Eppure, pensò, sempre di qualcosa di insolito si trattava. Niente. Colpito da una repentina forma depressiva causata da forte disistima, decise che qualcuno doveva pagare questo affronto, spiccò il volo sulla via adiacente e ridusse gli ignari passanti a novelli abitanti di Hiroshima.
Intanto nella fatidica classe la biondina nella seconda fila a sinistra biascicava un brano dei Promessi Sposi riducendolo ad una nenia mortale, tra accenti insipidi e schiocchi di chewingum, tanto che un ignaro avventore avrebbe scambiato il discorso di Fra Cristoforo nel lamento di un ubriacone dislessico. Lo smilzo occhialuto in prima fila come sempre aveva aperto l’antologia dove pareva a lui e avidamente leggeva un testo che trovava si interessante, ma di cui non conosceva né l’autore né i personaggi. Senza nemmeno alzare gli occhi dal libro chiese alla Prof chi era Tolstoj. Non ottenendo risposta, ripropose la domanda e solo allora l’insegnante sembrò ricordarsi del suo mandato educativo. Poco male, colta nel vivo della propria ignoranza, si scagliò contro il ragazzino con voce stridula e ne seppellì per lungo tempo le velleità conoscitive. Del resto aveva ben altro a cui pensare, che se lo cercassero su Wikipedia chi era Tolstoni, lei avrebbe voluto fare la bibliotecaria e non l’insegnante, non era colpa sua se il padre era amico del provveditore agli studi e non del direttore delle biblioteche comunali. Nel frattempo, nella terza fila centrale, le due trendy girl della classe raccontavano di incontri ravvicinati con membri maschili, improbabili trasformazioni da scolare a geishe e perfino lascive esperienze di menage a trois. Dietro a loro il gran ruffiano ascoltò tutto e lo riferì senza esitare al compagno di banco, il quale tuttavia lo diffidò dal credere a quelle due befane che, a parer suo, l’unico piffero che avevano realmente visto era il flauto che suonavano alle medie. Chi invece l’attrezzo lo usava davvero era il piccoletto dell’ultima fila. Non molto tempo addietro, incuriosito dai discorsi sconci dei compagni di classe, si era deciso ad imparare qualcosa sull’argomento. Un giorno che si trovava da solo in casa scrisse una di quelle oscure parole su Google e da quel momento la sua vita cambiò: inizio a studiare meno e ad avere le borse perennemente sotto gli occhi. Così mentre ognuno pensava agli affari propri, lui pensò al proprio affare e iniziò a stuzzicarlo delicatamente, senza gesti bruschi che avrebbero potuto renderlo lo zimbello della classe.
Il primo ad accorgersi che qualcosa non andava fu il ragazzo tarchiato e brufoloso della fila a destra, la cui gloriosa cerbottana fallì un facile colpo a causa di un movimento del banco. Era iroso, non poteva sbagliare un tiro, solo quello sapeva fare: disturbare gli altri in ogni modo e fare il verso a chi parlava, era il suo modo di farsi notare, di sentirsi vivo. Ognuno gioca le carte che ha a disposizione, se son state mescolate male, beh, amen. In seguito tutto si fece più confuso, prima un tonfo sordo fu avvertito da tutti, poi sembrò che qualcuno martellasse il pavimento ed infine tutto tremò e fu chiaro che quello era un terremoto.
Mezz’ora dopo il terremoto era solo un ricordo. Un pò di paura, certo, ma anche tanta gratitudine per aver consentito a tutti di fare ritorno a casa. Mentre tornava a casa, il piccoletto dell’ultima fila pensò che c’era sempre qualcosa da imparare. Lui, ad esempio, quel giorno aveva imparato cos’era un coito interrotto. Grazie al terremoto.
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