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Posts Tagged ‘terremoto’

Maggio, e non intendo il calciatore, se ne è andato. Un pezzo d’Italia a maggio se ne è andato, io pure a maggio non ci sono stato. Mese infausto, tra bombe di uomini il cui volto, chissà perchè, nessuno ha visto mai e bombe sotterranee che, chissà perchè, si potevano prevedere, si poteva fare diversamente, si poteva e si poteva anche tanto, ma non si è fatto, se non a posteriori davanti ad un cameraman. Mese, infine, di scommesse over/under, con tanta nostalgia del vecchio 1×2 e non voglio aggiungere altro perchè sarebbe banale e non sarebbe soprattutto corretto prendersela con giovani milionari che faticano a pagare le rate della villa e della ferrari allo stesso tempo. Della giustizia di tribunale ho poca fiducia, ma se ne esiste un’altra, di qualsiasi sorta, mi auguro che vi condanni a pagare, o meglio a non riuscire a pagare, ben altro tipo di rate. In ogni caso, il maledetto maggio ci ha ricordato che, ovunque noi siamo e qualunque cosa noi facciamo e diciamo, siamo lo stesso e per sempre coinvolti. Viviamo in una comunità, le nostre azioni si ripercuotono su noi stessi e su chi abbiamo vicino. Se pensiamo solamente a noi stessi, al nostro mero interesse, siamo finiti, onde ricordare fuori tempo massimo che fatti non fummo per contare solamente denti a francobolli, ma pure per aprire i nostri occhi ed estendere l’orizzonte al di là del nostro naso. At the end, addio maggio, nessuno ti rimpiangerà. Almeno lo spero.

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Se fossi Woody Allen direi: Dio è morto (who?), l’Italia è a pezzi e io pure peggio di lei. Già, di questi tempi abbiamo molte similitudini io e lo stivale. Lui però, lo stivale intendo, mi ha fregato, i tempi belli se li è goduti quando non c’ero e se c’ero non ragionavo ancora e a me ha lasciato, diciamocelo pure, uno scarpone marcio e disfatto. Macerie nella mia terra, disoccupazione ovunque ed io autoesiliatomi con la superficialità di chi non vuol sapere e non vuole credere che per alcuni l’eldorado non è ancora stato inventato. E magari, con la coda tra le gambe, presto dovrò tornare come un figliol prodigo, ma senza vitelli e banchetti ad attendermi, perchè chi perde non ha diritto ad ovazioni.  Ma c’è qualcosa che non si nega a nessuno, sebbene, come disse Abatantuono in una leggendaria sequenza di gerundi nel film Mediterraneo, chi vive di essa muore sopra un water. Speranza, questa non è dato torglierla a nessun terremoto, a nessun banchiere e a nessun avido, stramaledetto selezionatore di personale. Mi è ritornato alla mente una sequenza di questo bellissimo film, Philadelphia. Il protagonista, malato di aids, sa che dovrà morire a breve e si lascia trasportare dalla voce della Callas nell’opera Andrea Chenier di Giordano, dove ella rappresenta una donna che vede la casa dove era nata e viveva distrutta dalle fiamme. E’ a pezzi, ma dal dolore e dall’angoscia nasce la flebile e incorruttibile fiamma della speranza. Vi lascio godere questa memorabile scena e, per chi abbia avuto la volontà di raggiungere questa riga, scusate per lo sfogo e grazie mille.

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La natura ha un suo linguaggio e non ha bisogno di soggetti e complementi oggetti. Quando vuole, sa come ricordare ai comuni mortali chi comanda. La si può paragonare al severissimo Dio dell’antico testamento, quello che chiese ad Abramo il sacrificio del figlio nel suo nome. Se ne può parlare, insomma, e pure tanto. Ma lei comanda, taglia e cuce con l’imparzialità di chi sa colpire ieri nella poverissima Haiti e oggi nella ricca Emilia. Ma noi siamo emiliani, gente abituata a coltivare la terra e rispettare le stagioni. Ripartiremo, pure dall’ineluttabilità di un destino che non conosciamo e non conosceremo mai.

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Il piccione sul davanzale era, ancor prima che infreddolito, un tantino incredulo. Giocherellava con una foglia, gonfiava il collo, tubava, ma nessuno in quella classe, seppur composta da giovani reclute, lo degnava di uno sguardo. Eppure, pensò, sempre di qualcosa di insolito si trattava. Niente. Colpito da una repentina forma depressiva causata da forte disistima, decise che qualcuno doveva pagare questo affronto, spiccò il volo sulla via adiacente e ridusse gli ignari passanti a novelli abitanti di Hiroshima.

Intanto nella fatidica classe la biondina nella seconda fila a sinistra biascicava un brano dei Promessi Sposi riducendolo ad una nenia mortale, tra accenti insipidi e schiocchi di chewingum, tanto che un ignaro avventore avrebbe scambiato il discorso di Fra Cristoforo nel lamento di un ubriacone dislessico. Lo smilzo occhialuto in prima fila come sempre aveva aperto l’antologia dove pareva a lui e avidamente leggeva un testo che trovava si interessante, ma di cui non conosceva né l’autore né i personaggi. Senza nemmeno alzare gli occhi dal libro chiese alla Prof chi era Tolstoj. Non ottenendo risposta, ripropose la domanda e solo allora l’insegnante sembrò ricordarsi del suo mandato educativo. Poco male, colta nel vivo della propria ignoranza, si scagliò contro il ragazzino con voce stridula e ne seppellì per lungo tempo le velleità conoscitive. Del resto aveva ben altro a cui pensare, che se lo cercassero su Wikipedia chi era Tolstoni, lei avrebbe voluto fare la bibliotecaria e non l’insegnante, non era colpa sua se il padre era amico del provveditore agli studi e non del direttore delle biblioteche comunali. Nel frattempo, nella terza fila centrale, le due trendy girl della classe raccontavano di incontri ravvicinati con membri maschili, improbabili trasformazioni da scolare a geishe e perfino lascive esperienze di menage a trois. Dietro a loro il gran ruffiano ascoltò tutto e lo riferì senza esitare al compagno di banco, il quale tuttavia lo diffidò dal credere a  quelle due befane che, a parer suo, l’unico piffero che avevano realmente visto era il flauto che suonavano alle medie. Chi invece l’attrezzo lo usava davvero era il piccoletto dell’ultima fila. Non molto tempo addietro, incuriosito dai discorsi sconci dei compagni di classe, si era deciso ad imparare qualcosa sull’argomento. Un giorno che si trovava da solo in casa scrisse una di quelle oscure parole su Google e da quel momento la sua vita cambiò: inizio a studiare meno e ad avere le borse perennemente sotto gli occhi. Così mentre ognuno pensava agli affari propri, lui pensò al proprio affare e iniziò a stuzzicarlo delicatamente, senza gesti bruschi che avrebbero potuto renderlo lo zimbello della classe.

Il primo ad accorgersi che qualcosa non andava fu il ragazzo tarchiato e brufoloso della fila a destra, la cui gloriosa cerbottana fallì un facile colpo a causa di un movimento del banco. Era iroso, non poteva sbagliare un tiro, solo quello sapeva fare: disturbare gli altri in ogni modo e fare il verso a chi parlava, era il suo modo di farsi notare, di sentirsi vivo. Ognuno gioca le carte che ha a disposizione, se son state mescolate male, beh, amen. In seguito tutto si fece più confuso, prima un tonfo sordo fu avvertito da tutti, poi sembrò che qualcuno martellasse il pavimento ed infine tutto tremò e fu chiaro che quello era un terremoto.

Mezz’ora dopo il terremoto era solo un ricordo. Un pò di paura, certo, ma anche tanta gratitudine per aver consentito a tutti di fare ritorno a casa. Mentre tornava a casa, il piccoletto dell’ultima fila pensò che c’era sempre qualcosa da imparare. Lui, ad esempio, quel giorno aveva imparato cos’era un coito interrotto. Grazie al terremoto.

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