Me ne stavo sul divano sdraiato, o sarebbe meglio dire sbracato e mentre stendevo la mandibola sul poggiatesta, guardavo la televisione con visuale fuori asse di novanta gradi. Presto la vista si sarebbe fatta più nebulosa, i suoni più ovattati, le parole distanti tra di loro e le palpebre avrebbero chiuso come un sipario il mio rapporto mondano. Ma non è stato così. Maledetta scatola, quando meno te l’aspetti, zac, ti frega, il pensiero si insinua nella mente e più non se ne discosta.
Provino n°1: Siamo in uno studio pubblicitario milanese. Un saccente yuppie, prodotto della Milano da bere anni ottanta, si sistema la zazzera e con aria di superiorità e accento meneghino chiama l’ennesima comparsa. La giovane pulzella poco sa della ragione del provino, si vocifera di una pubblicità di un certo dentifricio, ma niente di più. Il laido ex craxiano gusta la pulzella con dovuto distacco e poi gli chiede di tirare fuori la lingua. La giovane rimane inebetita, si tocca i capelli, poi tira fuori la lingua, una bella lingua, lunga e corposa. L’inverecondo pubblicitario apprezza con un mugolio, si sistema sulla sedia e con grande partecipazione chiede alla fanciulla di sfrusciare la lingua sui denti, ecco perfetto, stupendo, dice il lubrico bauscia e abbonda con i complimenti mentre ravviva la zazzera ingrigita. Si, si, il posto è suo, quella sfarfallata di lingua merita i network nazionali e poco importa per quei denti gialli che tanto stonano per una pubblicità di dentifricio, per questo c’è photoshop. La svampita figliola trattiene a stento lacrime di gioia, ce l’ha fatta, presto potrà ammirarsi in tv. E pensare che a quella impudica richiesta aveva pensato male. Che stupida a lasciarsi influenzare dalle voci. Però, un pò, gli dispiaceva, tutto sommato.
Provino n°2: Bologna, ufficio marketing di grande azienda, commissione di tre uomini e due donne. Schiere di mamme con bambini attendono il loro turno dopo aver letto l’annuncio sul Resto del Carlino che bandiva la selezione di un bimbo per lo spot di una casa vinicola romagnola. Ecco riunirsi nella hall un bestiario alquanto eterogeneo: c’è la casalinga moglie del geometra che sogna una vita di lustrini per la sua Shirley Temple in erba, l’operaia di maglificio che giura che la sua piccola mai vedrà catena di montaggio, l’avvocatessa che sogna i salotti tv dove sarà invitata come madre del nuovo fenomeno televisivo. Non tutti i bambini capiscono, molti si lasciano andare a pianti isterici ancor prima dell’audizione, compromettendo la propria prova e i sogni altrui. La commissione non sa che pesci pigliare, i bambini arrivano stanchi, timidi e non spiaccicano parola. Poi la folgorazione sulla via di Saxa Rubra, il colpo di genio della giudice più sbadata, quella che dopo dieci provini è già stufa e guarda altrove. Questa volta però la soluzione viene proprio da altrove, la giudice si alza, interrompe l’ennesimo piagnisteo e chiama quel bambino con la passione per l’ornitologia fai da te, quello da tutti considerato un pò idiota per via della stridula sua voce che chiama paguri i piccioni e martin pescatori i passerotti. Lo invita a esibirsi, tra gli occhi sbigottiti delle madri dei bambini più virtuosi, lo tranquillizza con una carezza e gli chiede di ripetere quella frase urlata alla mamma. Il pargoletto si intimidisce, guarda la madre e trova il coraggio nei suoi occhi bramanti fama. “Mamma, mamma, un cardellino, un cardellino.” Da qui al nome della marca vinicola è un passo, qualche sillaba e niente più, con tanti saluti alle mamme degli altri.
Mi sono ripreso. La pubblicità fa brutti scherzi se non la si beve secondo istruzioni.