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Posts Tagged ‘competizione’

Sono adolescente, di questo ne sono sicuro. Attorno a me persone che frequentavo allora, alcune non so nemmeno che fine abbiano fatto, ma poco importa. Sono a cavalcioni del mio vecchio Fifty, il piede destro poggiato a terra e quello sinistro sulla leva del cambio. La frizione è tirata dalla mano sinistra, con la destra ruoto la manopola dell’acceleratore. Il rombo del motore in folle è importante, mi da la carica giusta. Questa volta devo farcela, tutti mi guardano e c’è pure lei. L’ultima volta non me la sentii di saltare quel dosso e dovetti frenare all’ultimo momento.  Eppure Jimbo e Sam quel salto lo fecero. E io no. Finché non farò quel salto non sarò alla pari con loro, non potrò sostenere lo sguardo di lei. Io e il dosso, il grande ostacolo tra me e la realizzazione. Sento salire l’adrenalina, quella giusta, scevra di ogni paura. Innesto la prima, mollo la frizione e contemporaneamente premo la manopola dell’acceleratore. Prima. Seconda. Terza. Trattengo il respiro e affronto il dosso. Qualcosa suona. Sto per staccarmi da terra con il mio Fifty. Suona ancora. Eppure non esistevano i cellulari al tempo. Sono in volo. Ora la parte più difficile. Il terreno non sembra mai arrivare, anzi, si direbbe che si allontana. Lo vedo lontano, tutto è lontano e sbiadito.

Sono caduto? No sono sveglio. O forse sono caduto perché di fianco a me sento un dosso. Non è terra. Ora che ci penso non può essere quel dosso, quello era grande, questo è delle dimensioni del mio corpo. Lo accarezzo con la mano e ne constato la calda accoglienza. Intanto, quel suono stridulo continua a perdersi nell’aria. Ho già capito cos’è. E’ il mio destino, la mia condizione. Allungo una mano verso la sveglia, ma il dosso mi impedisce di arrivarci. C’è sempre qualcosa tra me e l’intenzione. Devo imparare a convivere con gli ostacoli, non posso vivere in competizione, non posso permettere a quella bestia di intrufolarsi nei miei sogni. Questo vivere nel confronto è alienazione pura e io devo reagire.

Apro gli occhi e osservo questa duna di lenzuola arrotolate. E’ creata ad arte, impedisce le mie relazioni con il resto del mondo. Sbadiglio e l’abbraccio. Devo imparare a convivere con gli ostacoli. La sveglia termina di suonare. E’ un’illusione: cinque minuti e poi ricomincerà a suonare. Una funzione infernale: si chiama Snooze, cinque minuti e suona di nuovo. Non c’è nulla di definitivo, tutto è relativo, momentaneo, ripetitivo. Giusto il tempo di vedere come è andata a finire con quella duna. Bisogna iniziare la giornata con mentalità vincente. Lo dice sempre il mio capo. Oggi potrebbero approvare il mio progetto… ma quello di Lucia è forse migliore del mio…

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Cumènda!

C’erano una volta i “cumènda”, personaggi che popolarono la commedia italiana tra anni settanta e ottanta, raffigurazioni dei capi quando si chiamavano, appunto, commendatori e non ancora boss, chief executive ed altri neocapitalismi made in NY. Self made man, uomini partiti da un’officina ed arrivati in borsa in un paio di decenni. Si può distinguere un Cumènda anni settanta, nato povero, vissuto di lavoro, poco propenso alla benevolenza verso i propri lavoratori, da un Cumènda anni ottanta, la cui unica differenza rispetto al predecessore è una maggior apertura verso i piaceri della vita, in sincronia con la nuova Italia da bere di Craxi. Niente master, nella maggior parte dei casi nemmeno una laurea e non di rado addirittura neanche un diploma, solo intuizioni e un momento economico dove si poteva vendere davvero tutto. Nei film erano rappresentati vecchi, brutti, al limite dell’ignoranza, interessati solo alla fabbrichetta a differenza dei manager dei telefilm di oggi, superuomini nietzschiani, poliglotti, figli delle meglio Università con esperienze da Detroit a Guanzhou. Non sono qui a disquisire se fosse meglio l’orgoglioso fai da te brianzolo o il manager cittadino del mondo di oggi. Ogni età ha i suoi prodotti e nel mondo liquido odierno tutto si fa e tutto  si distrugge in un attimo, non c’è tempo per buttar su l’aziendina di famiglia, il mercato è grande e piccolo al tempo stesso e di là dall’oceano insegnano che il grande fagocita il più piccolo, è fisiologico. Eccoci tutti competitor, performer all’ennesima potenza, duri con tutto e tutti come lo saranno con noi. Il presente è un mercato, si affermava un tempo. Il mercato è traffico di merci, lo dice l’etimo, contrattazione dove il più bravo ha un surplus. Anche questa è competizione, ma  sana. Oggi no, il mercato non esiste più, siamo in un’arena e siamo costretti a gareggiare sempre e con tutti, perfino il rapporto di coppia è spesso una contrattazione. Non sono esclusi i più piccoli: le pubblicità di giocattoli martellano il messaggio “sfida i tuoi amici”. Fatti una bella armatura e sfida pure tua madre, cazzo. Ma le armature pesano sull’anima.

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