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Posts Tagged ‘paesi abbandonati’

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Vi avevo già parlato della triste e macabra vicenda di Reneuzzi, borgo abbandonato dell’appennino piemontese. Oggi vi racconterò dell’altrettanto interessante storia di un piccolo borgo della Val Ceno, appennino parmense. Cà Scapini è un agglomerato di case abbandonate ormai da molti anni. Come ogni paese fantasma che si rispetti, anche Cà Scapini ha la sua leggenda. Anzi, ne ha più di una ed ognuna di esse riguarda il suo abbandono. Perché di Cà Scapini si sa poco e nulla. Non si sa, per esempio, quando fu abbandonato e, senza esagerare, si può affermare che non si sa nemmeno chi abitò quel borgo. E così c’è chi dice che il paese fu abbandonato a causa di una maledizione, il ritrovamento del cadavere di una pastorella orribilmente mutilato nel pozzo del paese. Altri dicono che la gente fuggì a causa di un rastrellamento nazista e, alquanto stranamente, non fece più ritorno. Le due teorie convergono su un punto: nella fuga, gli adulti si dimenticarono di alcuni bambini, lasciati alla loro mercé. Capita, allora, che da allora il viandante che si inoltra tra quelle case disabitate, sia richiamato dalle voci dei bambini abbandonati.

Ora, lasciamo riposare in pace bambini e pastorelle, mettiamo da parte le leggende e vediamo cosa rimane di questa storia. Come già detto, non si sa quando Cà Scapini fu abbandonato. Si può dire, quasi con certezza, che la partenza degli ultimi abitanti non sia anteriore agli anni cinquanta, ovvero in epoca relativamente recente. Eppure, in quella zona vi sono borghi anche più isolati di Cà Scapini, mi riferisco, ad esempio, al vicino Sidolo. Come mai, allora, una fuga così repentina e generalizzata? Non so. Forse, come in ogni leggenda popolare, un fondo di verità c’è, magari un evento luttuoso ha spinto all’abbandono una popolazione già numericamente risicata. Ma è poi importante saperlo? O meglio, ribaltando la domanda, quanto è bello non sapere come sia andata davvero? La montagna non vive un gran periodo, i paesi muoiono e le distanze, per assurdo, aumentano. Di molti borghi non è rimasto che qualche casa di pietra, una stufa, un calendario appeso di qualche decennio fa. E la leggenda. Non ci sono archivi, nella storia della civiltà montanara, c’è solo l’oralità e l’oralità si può modificare, in qualche caso anche inventare. Ecco, se qualcosa di surreale ci debba essere, altro non sia che questo: la montagna come un’entità viva e pensante che si prende gioco della nostra necessità di mettere nero su bianco, della nostra smania di risolvere tutto e sacrificare la magia al sacro fuoco della ragione. Salvo poi, ottenuta un’insipida soluzione, lamentarsi per la perdita del sale di ogni storia: il mistero. Cosa ci sarebbe di interessante nello scoprire che gli abitanti di Cà Scapini, stanchi di una vita grama e ormai impossibile, un giorno, magari in seguito ad un evento luttuoso, fecero le valigie e andarono dall’altra parte dell’oceano? Andate a Cà Scapini e ascoltate le voci dei bambini. Se vi è possibile, credete che ciò che state sentendo sia la loro voce. Credetelo intensamente. Altrimenti, se lo scetticismo non ve lo permette, sappiate che quella è la voce della montagna che vi dice: non te lo dirò mai chi era la gente di Cà Scapini. E allora, quando tornate nelle vostre case, nei vostri uffici, dite che voi, la voce dei bambini abbandonati di Cà Scapini, l’avete sentita per davvero. E’ l’unico modo per non dimenticare, ancora una volta, quei bambini.

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Camminano e si direbbe proprio che sanno dove devono andare. Il passo deciso e lo sguardo sicuro porterebbero l’osservatore a pensare che questi due hanno una direzione precisa, una meta a cui vogliono giungere. No, in verità non sono mai stati qui e non sanno nemmeno perchè vi son giunti. E nemmeno se lo chiedono, avanzano spalla spalla in questo paese sperduto e sconosciuto, in questo grumo di case di senza dimoranti, persiane chiuse da anni, muri inumiditi, camini inattivi, proprietà lontane e disinteressate. Occhieggiano qualche particolare, un movimento veloce di cornea, un’istantanea visiva, niente più. Ciò che gli circola nella testa non ci è dato sapere, accontentiamoci di sapere che non pensano al perchè sono li. Forse credono nel destino e perciò qualche oscura mano li ha portati in quel momento in quel paese. Forse cercano qualcosa senza sapere, senza volere, senza nemmeno crederci poi tanto. Forse, in un pomeriggio di tedio, hanno preso l’auto e l’hanno lasciata correre, limitandosi ad assecondare i tornanti stradali. Ed è la motivazione più probabile, ma, in ogni caso, non lo sapremo mai. C’è una forma di vita, comunque. Forse non l’unica, sicuramente non l’unica. Una silenziosa statistica, giusto un attimo fa, ha portato uno dei due a sentenziare che almeno sette case presentano vita all’interno. L’altro ha riflettuto un paio di secondi, fissando una grondaia color rame, poi con un cenno della testa ha dato il suo assenso. Ma ora la faccenda è diversa, non si tratta solo di un abitante, ma di un autoctono che, in qualche modo, mostra segni di interazione con i due passanti. Eccola, la sagoma della vecchina mostrarsi timidamente alla finestra, aguzzare la vista accorgendosi, con tanto di malcelato stupore, che i due passanti non appartengono alla fauna locale. Difficile spiegare quali e quanti interrogativi assalgono la mente dell’anziana signora. Non è facile tenere un discreto contegno quando una persona vi fissa con insistenza. Se poi siete in una zona dove sapete di non essere propriamente a casa, beh, sarà difficile reggere il peso di qualsivoglia sguardo indagatore. Questo è il caso di uno dei nostri, non di entrambi. No, perchè uno di loro, senza indugio né tanto meno timore reverenziale, si ferma e fissa a sua volta la vecchina alla finestra. Questa non par credere a tale ardire. Chi è costui tanto audace da sfidare uno sguardo indigeno? La vecchina rimane interdetta, poi, con piglio decisionista apre la finestra e non vi è allora più impedimento alcuno alla comunicazione. Ma l’ardire della Signora non va oltre, lei ha aperto la finestra, ha fatto la prima mossa, ora attende la replica avversaria. Ma, il giovane, ancora una volta, non si dimostra impacciato. “Signora mia, lei forse ora vorrebbe chiedermi qualche cosa. Ma, questo lo deve sapere, potrei chiederle anch’io diverse cose e le assicuro che nessuna delle mie domande sarebbe di convenienza né fuori luogo. Per esempio, potrei chiederle dei tempi che furono, di quando questo paese germogliava, sprizzava gioventù, di quando i primi hanno iniziato a fare le valigie, di quando si è spopolato del tutto e tante altre cose, che, immagino, dopo una certa ritrosia iniziale, lei mi racconterebbe con grande felicità, sebbene immagino potrebbe divagare un pò troppo complicando la mia ricezione di notizie utili. E tanto altro le potrei chiedere, ma, diciamocelo, a lei interessa una sola cosa: sapere quali sono le nostre cattive intenzioni. Già, perchè per di qua, starà pensando, possono arrivare solamente ladri di pensioni altrui. E invece no, Signora mia. Non so dirle perchè son qui ma non certo per infastidirla o appropriarmi di proprietà altrui.” E poi tace, mentre il suo compare non guarda nemmeno la scena e lentamente prova ad allontanarsi, forse mosso da un crescente imbarazzo. La vecchina, dal canto suo, ha capito praticamente nulla dell’arzigogolato discorso e comunque lei rimane dell’idea che quei due han qualcosa di losco. Chiude la finestra, ma non certo con decisione, anzi il suo gesto parte già lento e perde sempre maggior vigore nell’atto di compiersi, quasi come volesse essere interrotta, come se volesse ancora una volta ascoltare quella voce difficile. Ma la comunicazione tra generazioni, tra indigeni e forestieri, termina qui. Il giovane volge lo sguardo altrove e camminando con l’amico, svicola altrove. In un’altra storia. La vecchina si siede accanto alla stufa e accende la tv, ma non la osserva. Guarda la foto del fratello da giovane, posata sul comò. Quel ragazzo assomigliava proprio al fratello. La voce, poi, era praticamente la stessa. Le manca molto l’adorato fratello. Le manca pure la gioventù e pure il paese. Quello che era, non quello di adesso. E fu così che l’anziana Signora ebbe di che pensare per tutto il resto della giornata.

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